L’ expò dell’Ami pone l’accento sul rapporto tra cibo e consumo responsabile.
“Prendiamoci gusto”, la prima Expo dei sapori mediterranei promossa dall’AMI (Alimentazione Mediterranea Internazionale) si è svolta a Roma poco tempo fa. Allestita presso l’ampia sede del Palazzo dei Congressi, ha riunito 60 espositori, prevalentemente aziende del settore agroalimentare, ma non solo, e ospitato varie iniziative: laboratori, showcooking, convegni, proiezioni di film e documentari. Il filo conduttore o, se vogliamo, il senso della manifestazione è stato dato dal convegno “Per una nuova economia: ripartiamo dal cibo“. Moltissimi i temi trattati, a partire dal valore dei prodotti alimentari di qualità, in cui il “made in Italy” gioca un ruolo primario, basti pensare che il 22% dei prodotti DOP e IGP europei sono italiani; per cui si è molto parlato di tutela della filiera alimentare, per arginare il fenomeno delle frodi e sofisticazioni alimentari.
1.Economia alimentare e gestione del territorio
Il rapporto tra cibo e territorio è il focus del convegno. Quanti settori della nostra economia ruotano attorno al cibo? La gestione del territorio, nel senso di occupazione di suolo, tema immenso, complesso e attualissimo; le politiche energetica ed edilizia, che occupano suolo in passato destinato all’agricoltura; la gestione del servizio idrico, senza il quale non si ha settore agroalimentare; l’organizzazione dello smaltimento dei rifiuti, che chiama in causa principalemnte lo spreco alimentare, dei consumatori e delle aziende produttrici.
Come ha sottolineato M. Tutino (assessore alla Pianificazione e Ambiente della regione Emilia Romagna e moderatore del convegno), stiamo velocemente perdendo la capacità di produrre cibo in Italia, sul nostro territorio. I piani regolatori regionali non hanno come priorità la tutela del suolo agricolo esistente, ignorando che l’occupazione di suolo vergine non può essere equiparata alla riqualificazione di aree già edificate.
Uno scenario dei consumi che mette a confronto l’immagine dell’Italia dal dopoguerra ad oggi ci pone una domanda urgente: come sostenere questo nuovo stile di vita che consuma tutto ad un ritmo forsennato? Non a caso la parola “sostenibilità” sembra il mantra ripetuto negli ultimi tempi senza soluzione di continuità. La ricerca scientifica e l’industria possono avere un ruolo importante nell’azzeramento degli sprechi alimentari e nello sviluppo del riciclaggio delle sostanze organiche e dei rifiuti alimentari. E’ interessante l’esempio portato dal Prof. Dossena del Dipartimento di Scienze alimentari dell Univ. di Parma sul recupero/riutilizzo all’interno della filiera avicola: si può tranquillamente passare da un utilizzo del 50 % del prodotto, come accade in media oggi, al 100 %, sfruttando tutto ciò che viene eliminato dall’animale per produrre polveri proteiche da immettere nel settore dei cibi per animali domestici. L’obiettivo è quello di un’ industria a rifiuti zero. E’ affascinante la prospettiva, sebbene io continui a pensare che qualunque aiuto tecnologico e scientifico non possa prescindere dal nostro immediato cambiamento di stile di consumo.
2.La fame a tavola
In un altro settore della fiera si svolge il laboratorio “La fame a tavola”. E’ ideato da Oxfam , una confederazione di organizzazioni che collaborano per promuovere progetti contro la povertà ed è presente ormai in quasi tutti i paesi del mondo. All’interno di un’expò dedicata a quanto di meglio può offrirci l’alimentazione mediterranea, in un tripudio di sapori e eccellenze gastronomiche, Oxfam vuole sensibilizzare sul problema della difficoltà di accesso al cibo.
E lo fa in modo efficace, attraverso un gioco di ruolo. Ogni partecipante al laboratorio assume una nuova identità che lo porta ad essere o un ricco benestante inglese o un povero disagiato indiano, un artigiano peruviano o un contadino etiope, un piccolo produttore equadoregno o un disoccupato malese, ognuno con una storia alle spalle in seguito alla quale si ritrovano ad avere o non avere disponibilità di cibo. Ho partecipato al laboratorio; eravamo in tutto una quarantina e la nostra suddivisione in benestanti e disagiati è una rappresentazione realistica della situazione economica mondiale: solo due di noi costituiscono il gruppo dei fortunati, con disposizione di risorse alimentari sovrabbondanti; dieci persone se la cavano per un soffio; gli altri ventotto soffrono regolarmente la fame. Dopo aver letto le storie che rappresentano l’identità assunta (storie vere), potremo mangiare quello che ci spetta secondo la nostra condizione economica. I due fortunati siederanno ad una tavola imbandita, dove la maggior parte del cibo preparato andrà sprecata perché in eccesso. Il gruppo più consistente avrà del riso bollito e dell’acqua. Siamo pervasi da un senso di disagio e di forte ingiustizia. Ritorna ancora lo stesso pensiero del convegno: è urgente un cambiamento di stile di vita e di consumo alimentare.
3. Le eccellenze gastronomiche
Con la mia piccola ciotola di riso scondito impressa nella mente ho attraversato gli stand degli espositori. Sono realtà imprenditoriali piccole e medie, prevalentemente aziende agricole; molte sono biologiche, qualcuna biodinamica. Viene offerto di tutto ai visitatori curiosi e attenti: olio, vino, ortaggi, formaggi, salumi, tartufi, funghi , pane. Una varietà incredibile di sapori e aromi, e in realtà stiamo parlando solo di un pugno di produttori rispetto all’enorme numero di aziende presenti sul territorio italiano. Il colpo d’occhio fa percepire concretamente quel “tesoro” a cui si allude quando si parla di cibo “made in Italy”. Mi sono fermata a parlare con i proprietari dell’Azienda Agricola Janas, attratta dalle loro farine (e forse anche un po’ dai dolci al cioccolato che con quelle hanno preparato: buonissimi). Sono giovani che hanno scommesso sulla terra. Hanno deciso di produrre anche varietà di grani meno noti, (oltre a quelli ormai rinomati, tipo “Senatore Cappelli”). Del resto organizzano corsi di panificazione e hanno annesso all’azienda un piccolo ristorante. Per cui il cerchio si chiude: si cucina quello che viene prodotto, si testa la qualità delle farine e si migliora di anno in anno.
Mi domando cosa succederebbe se realtà agricole come questa non ci fossero più. La possibilità di avere una farina molata a pietra, da un grano coltivato a soli 100 km da casa mia, è un privilegio unico. L’altrernativa, purtroppo esistente, è da brivido: multinazionali che producono su un’estensione 100.000 ettari la stessa varietà di grano, che sarà stipata in giganteschi container e spedita dopo lunghi stoccaggi in giro per il mondo. Per nazioni come l’Italia in gioco c’è l’eccellenza del cibo più buono del mondo, del rinomato “made in Italy”; ma per altri Paesi ci si gioca molto di più: la scomparsa dei piccoli produttori può significare la scomparsa del cibo tout court.
4. Dulcis in fundo
Chi meglio degli chef può esaltare la qualità di materie prime eccellenti? Anche loro danno un forte contributo affinché non si perda o si riannodi quel rapporto tretto tra produttori locali e ristorazione. L’expò AMI ha visto la partecipazione di vari chef, tra cui Andrea Fusco, del ristorante “Giuda Ballerino” di Roma, 1 stella Michelin, che ha diretto il ristorante della fiera. La sua cucina è tipicamente mediterranea e legata al territorio, come lui stesso ha spiegato durante il suo showcooking. Nel quale ha preparato una rivisitazione del “cacio e pepe”, un piatto sempre amato ma anche pesante e dal gusto monotono. Nella sua versione si arricchisce di note contrastanti: quelle amarognole dei broccoletti, dolci della liquerizia e salate delle trippe di baccalà. Esperiemento decisamente riuscito.
Aspetto le prossime iniziative dell’AMI.