“…quello che stupisce maggiormente dell’abuso di cioccolato è l’intensità delle passioni evocate. E’ qualcosa di più del semplice piacere della gola : il cioccolato attrae perché ricco di significati simbolici.” Daniela Filippone.
Bruno, castano o bianco. Amaro, dolce o dolcissimo. Al naturale, aromatizzato o ingrediente di dolci e dessert irresistibili che sono entrati a far parte della storia della cucina internazionale, è lui: il cioccolato.
Peccaminoso, sensuale, eccitante oppure consolatorio, rassicurante, esaltante. Gli aggettivi associabili a questa meraviglia della natura trasformata in alimento sono innumerevoli e riconducibili a un unico denominatore comune: il piacere, sia esso dei sensi, dell’anima o di entrambi.
Scrivere un articolo sul cioccolato non è cosa facile. Dalla sua storia ai suoi significati, dalle ricette delle quali è protagonista alle capitali che ne fanno un’eccellenza alimentare, dal cinema che attorno ad esso ha costruito opere memorabili agli eventi internazionali che lo eleggono come protagonista unico, è ovunque e, che si apprezzi o no, fa parte della nostra vita e della nostra cultura. Uomini, donne, bambini, adolescenti, anziani, tutti “dialogano” con il cioccolato, spesso in un rapporto amoroso che rasenta il maniacale, l’irrinunciabilità, la devozione assoluta, estendendo e dilatando nel tempo la prerogativa del popolo maya che attribuiva a questo cibo attinenze divine. Affascinata dai legami tra il cibo e la mente o deciso di concentrarmi sugli aspetti emotivi e psicologici che stanno alla base del consumo di quest’alimento.
Tutto sembra iniziare dalla chimica, ovvero dalla serotonina e dalla feniletilamina che, liberate nell’organismo, agiscono sul cervello predisponendo lo spirito al buonumore. La produzione di endorfine (che hanno un’azione simile alla morfina), indotta dall’assunzione di cioccolato, e la capacità che, secondo studi recenti, il cioccolato ha di protrarre i benefici della produzione di un altro neurotrasmettitore, l’anandamide, completano il quadro “neurofisiologico” di questo cibo che quindi è chimicamente parlando, una naturale fonte di benefica alterazione dello stato d’animo.
AMAMI E RENDIMI FELICE
Che cosa accade più in profondità rispetto alla chimica, quando si sconfina nell’inconscio, dove la fisiologia si mescola a ricordi, sensazioni, esperienze pregresse, storia personale dando origine a un coagulo di risposte puramente emotive? Perché mangiamo cioccolato e perché farlo ci piace tanto?
Le risposte a queste domande si possono trovare non solo nella storia del singolo, ma in tutte quelle manifestazioni visive destinate al grande pubblico in cui il cioccolato compie le sue epifanie: pubblicità di prodotti reperibili presso la grande distribuzione, packaging, cinema e televisione utilizzano interpretazioni e significati che riserviamo al cioccolato. La psicologia del cioccolato, quindi, passa attraverso il senso della vista e del gusto per dilagare nel cervello.
Quando il cioccolato è destinato ai bambini, la pubblicità e il packaging si vestono di colori brillanti e allegri e d’immagini che parlano di famiglia e cure parentali, attraverso l’esaltazione delle proprietà nutrizionali di prodotti che contengono anche latte, e quindi calcio, vitamine…oppure creano mondi fantastici volti a stimolare la fantasia dei piccoli. Se invece è riservato a un pubblico adulto, ecco che sono chiamate in causa le attinenze tra il cibo degli dei e la sfera amorosa e sessuale attraverso immagini allusive. Caratteristica comune di tutti questi prodotti che fanno del grande pubblico il proprio target è la rappresentazione di ambienti accoglienti, avvolgenti, rassicuranti mediante l’uso di colori caldi, d’immagini che sfumano l’una nell’altra, di cioccolato fuso che cola, fuma, unitamente a figurazioni dinamiche che sanno di allegria e benessere mentale e fisico.
“La prima motivazione psicologica all’acquisto e al consumo del cioccolato è l’associazione di quest’ultimo con una situazione di festa, di incontro, di ricorrenza, quindi di tipo familiare / emozionale. Il cioccolato evoca momenti celebrativi e quindi ha di per sé già una valenza positiva perché assume una significanza ludica.” Daniela Filippone.
A proposito di famiglia, ne La Fabbrica di Cioccolato, film proposto al cinema da Mel Stuart nel 1971 e da Tim Burton nel 2005, il cioccolato, inteso come alimento consolatorio, diventa metafora del nucleo famigliare: la famiglia è il rifugio sicuro, il “luogo” dell’amore e delle attenzioni parentali in assenza dei quali c’è alienazione. Willy Wonka, afflitto da un padre freddo e distaccato che gli impedisce di mangiare dolci, si allontana da lui per poi ritrovarlo e incontrare una famiglia “adottiva” e lo fa attraverso il cioccolato. Charlie, il bambino che vince il concorso dei biglietti d’oro, trova nel cioccolato il simbolo dell’amore famigliare (in occasione del suo compleanno la sua famiglia indigente gli regala sempre una tavoletta di cioccolato) e redime il solitario e deluso Wonka grazie alla passione comune per il cibo degli dei inteso come alimento da approcciare con cognizione e rispetto.
Per contrasto, i bambini che ambiscono al premio del concorso, viziati, ottusi, vittime di genitori che li hanno trasformati in egoisti, ingordi e superficiali, nella fabbrica di Wonka trovano la propria dannazione. È significativa la scena in cui l’ingordo e insaziabile Augustus cade nel fiume di cioccolata e viene risucchiato da un aspiratore. In questi intendimenti, il cioccolato si lega al concetto di famiglia perché è cibo di conforto per antonomasia: il cioccolato si morde e si sugge e induce a ripetere, con estremo appagamento, il primo rapporto fisico che ciascun neonato ha con la realtà che lo circonda attraverso la persona che lo nutre.
Il cioccolato come alimento confortante portato all’estremo, che si traduce in autentica automedicazione antidepressiva, è rappresentato nel film Bianca di Nanni Moretti e, in particolare, nella scena in cui quest’ultimo, nottetempo, affoga i propri dispiaceri nella crema a base di cacao e nocciole più famosa al mondo. Le abnormi dimensioni del barattolo che rimandano alla distorsione della realtà indotta dalla depressione e la nudità del protagonista che ci ricorda che quando siamo alle prese con il nostro dolore interiore siamo indifesi, sono anche la grottesca rappresentazione di un rapporto amoroso e sensuale, fittizio e compensatorio.
SEDUCIMI E APPAGAMI
Sui legami tra il cioccolato, l’amore e il sesso si potrebbero scrivere enciclopedie.
La capacità di sciogliersi in voluttuose onde vellutate, il contrasto tra dolcezza e amarezza, le reazioni chimiche cerebrali. E ancora i sensi di colpa legati al mangiarlo che rimandano agli atavici sensi di colpa inerenti alla sfera sessuale, gli stessi che contrastano con la capacità di quest’alimento di confortare l’animo e che lo rendono quindi ambivalente, contradditorio e capace di generare un rapporto tormentato come uno spietato quanto irresistibile amante, fanno del cioccolato il simulacro ideale del sentimento amoroso e del rapporto fisico.
“Non pensate che il cioccolato sia un sostituto dell’amore… L’amore è un sostituto del cioccolato.” Miranda Ingram
La pubblicità e il cinema hanno sposato queste attinenze con grande successo. Sul piccolo schermo gli interpreti degli spot chiudono gli occhi, reclinano la testa, sospirano, mugolano in una simulazione dell’atto sessuale.
Nelle sale cinematografiche storie d’amore e d’attrazione fisica s’intrecciano al cioccolato dando vita a pellicole di grandissimo successo quali, tra le altre, Il Profumo del Mosto Selvatico di Alfonso Arau (USA, 1995) in cui Keanu Reeves è un seducente rappresentante di cioccolatini, Chocolat di Lasse Hallström (USA – Gran Bretagna, 2000) che vede Juliette Binoche sconvolgere una piccola città portando in essa l’efficacia erotica e sentimentale del cioccolato, Emotivi Anonimi di Jean-Pierre Améris (Francia – Belgio 2010) che fa del cibo degli dei una panacea per l’ansia e le paure attraverso l’amore e Lezioni di Cioccolato di Claudio Cupellini (Italia, 2007), seguito da Lezioni di Cioccolato 2 di Alessio Maria Federici (Italia, 2011), pellicole leggere e brillanti che si fondano sul legame indissolubile tra il cioccolato e la sfera sentimentale.
“Che mi dici dell’amore?”
“Sopravvalutato. Biochimicamente non è diverso da una grande scorpacciata di cioccolata.” Keanu Reeves e Al Pacino ne L’Avvocato del Diavolo di Taylor Hackford (USA, 1997).
CIOCCOVOYEURS
La televisione a sfondo culinario, capace di sfruttare un tema di successo sino a consumarlo, non poteva ignorare il potere comunicativo del cioccolato e la profondità con la quale questo cibo è radicato nella nostra cultura e avvinghiato al corpo, all’anima e alla mente degli spettatori. Sono numerose le trasmissioni dedicate al cioccolato e ai maestri che ne fanno un’arte: a differenza di altri programmi di cucina non monotematici e squisitamente accademici, dove si parla di cioccolato non si può prescindere dal coinvolgimento sentimentale e sensuale, anche quando gli intenti del programma sono didattici. Allegria, famigliarità, convivialità, affabulazione, aneddotica, sessualità, ambientazioni da boudoir dove il rosso predomina, sono parte integrante di questi prodotti televisivi che bucano lo schermo seducendo e attraendo fino al parossismo, dove l’allusione diventa una certezza (una delle suddette trasmissioni ha fatto proprio, riadattandolo, il titolo del romanzo erotico Cinquanta Sfumature di Grigio).
DALLA TEORIA ALLA PRATICA
Ormai lo sapete, mi piace verificare la teoria con la pratica. Ecco i pensieri randomizzati dei miei amici (che ringrazio) i quali hanno risposto alla domanda “Se vi dico CIOCCOLATO, voi cosa rispondete?”.
“Lo sai che non mi piace tanto ma direi, se proprio devo, fondente.”
“per me cioccolato = **tella”
“**tella!!”
“Fondente al 90%”
“Appagamento x il palato…”
“…ma in colpa per la linea!”
“Cospargetemi di cioccolato!!”
“Tutto il cioccolato, ma siccome non posso mangiarlo, utilizzo quello bianco.”
“Assolutamente e sempre fondente…al 70% che fà benissimoooo!!!”
“Fondente 80% e una tavoletta a portata di mano!”
“ tutto…”
“ Ti direi….ammmmmoreeee, assolutamente fondente, caldo che cola sopra una fetta di meringata……torta caprese calda con una pallina di gelato alla crema o con panna……”
“**tella!!”
“non mi piace!”
“Cioccolato penso..mi fa ingrassare!!..non sono tanto amante. ma preferisco quello alle nocciole..mitico quello devo dire all ovomaltina strepitoso… cioccolato ricorda inverno ..casa amici e **obar..”
“Ogni riferimento alla tavoletta con cui mi sono appena sfondato, accompagnata da una tazza piena di cereali è puramente casuale”
“Gianduiotti e cremini”
“passione ,compagnia ,bontà, umore ,pane, fondente, cremosità ,sensi……”
“pane e cioccolato”
CIOCCOLATORINO
Devo confessarlo (e potrà sembrare strano considerando che ho scritto un articolo a esso dedicato), ma non consumo abitualmente cioccolato. Lo riservo, spontaneamente e senza forzature, a momenti puramente intimi in cui la necessità di indulgere verso me stessa e l’edonismo prendono il sopravvento. In quegli istanti, quando sono sola e mi autoassolvo liberandomi da tensione e dispiaceri, riconosco nel cioccolato qualcosa di semplicemente inspiegabile. È la sua capacità di instaurare con chi lo consuma un rapporto privato e personalizzato che va oltre la chimica. È la prerogativa che lo distingue come generatore di mondi paralleli, di ologrammi, di realtà alternative dove il piacere è, in maniera stupefacente e irrinunciabile, il fine e il mezzo.
Venerdì scorso ho visitato Cioccolatò, una delle più importanti manifestazioni italiane dedicate al cioccolato che si tiene a Torino. Piazza San Carlo sembrava placcata da una patina dorata che scendeva liquida dal cielo, trafitta dai raggi del sole calante. Della manifestazione ricordo soprattutto gli odori e i colori. Profumi caldi di cioccolato che si mescolavano agli odori della piazza, del Caffè Torino e della neve il cui profumo freddo viaggiava nella brezza che arrivava dalle montagne. Ciascuno stand aveva la sua prerogativa olfattiva e cromatica. Mi sentivo stordita ed eccitata, sovra stimolata e felice. Ho fatto della morigeratezza il mio baluardo. Ho mantenuto la calma, girato e rigirato tra gli espositori, osservato, fotografato, annusato e, infine, scelto.
Mentre il mio compagno si deliziava con un waffle ricoperto di cioccolato artigianale fuso e granella di nocciola, io ho allentato le redini della regressione, scivolando dolcemente nell’infanzia e ordinando un bicchierino di cioccolata calda bianca che ha saputo trasformare il freddo dell’autunno inoltrato in un rassicurante abbraccio, in una favola della buonanotte, in un sogno che sbiadisce dolcemente nella realtà del risveglio.
“Nove persone su dieci amano il cioccolato; la decima mente.” John Tullius