“È un freddo e piovoso pomeriggio. Decidi che una scodella di zuppa di pollo potrebbe fare al caso tuo. Mentre mangi, sorridi perché stai ricordando un giorno di pioggia quando eri giovane e tua madre ti aveva preparato la stessa zuppa. Hai mai desiderato una pinta di gelato al doppio cioccolato quando eri triste? Un panino al tacchino quando eri felice?
Questo è Comfort Food. Un cibo specifico consumato in una specifica situazione. Essenzialmente un cibo confortante è un cibo che una persona mangia per ottenere un conforto psicologico.” Brian Wansink, Matthew M. Cheney, Nina Chan, Physiology & Behavior, Exploring Comfort Food preferences across age and gender, 2003.
“Abbracciami, consolami, prenditi cura di me, rafforza la mia felicità, fammi del bene.” Sono queste le cose che chiediamo al cibo consolatorio e quando la risposta è affermativa, quando ai bisogni risponde la soddisfazione degli stessi, ecco che gli alimenti diventano Comfort Food.
La caratteristica principale del Comfort Food è di essere “elastico”. Trasudando storia individuale, fa sì che ciascuna persona ricorra a esso per ragioni differenti e lo intenda in maniera diversa. Sono comunque individuabili peculiarità comuni che pongono questo genere di alimenti in un territorio affascinante e ricco di stimoli culturali ed emozionali.
Il Comfort Food non è solamente emotivo ma fisiologico e sociale. È emotivo quando il senso di benessere è legato a ricordi piacevoli, è fisiologico nel momento in cui subentrano reazioni chimiche cerebrali indotte dall’ingestione di un determinato alimento (specialmente se contiene grassi, zuccheri o altre sostanze quali la serotonina, si pensi al cioccolato) ed è sociale se analizzato nel suo ruolo di testimone delle tipicità locali attraverso le esperienze familiari e di aggregatore di persone, di creatore di convivi. La bourguignonne, la fonduta, la bagna caoda, la raclette, i cibi cotti sul barbecue sono tutti alimenti ricchi di grassi che presuppongono e favoriscono la condivisione e che molte persone, per questo, considerano cibi confortanti.
Il Comfort Food, quindi, è uno strumento di conoscenza non solo della sfera personale di un individuo, ma della cucina legata al territorio, soprattutto quella più vera e autentica che rivela le tradizioni famigliari in grado di conferire ai piatti tipici quella straordinaria incapacità di essere codificati e riguardati da una versione “originale”. Di là dalle evidenti storpiature o incoerenze, esiste un modello cui riferirsi per realizzare la vera parmigiana di melanzane? Esiste la ricetta dei veri agnolotti piemontesi? Io credo di no: ogni cucina, ogni famiglia, ha la propria versione di uno stesso piatto, fatto che rende meravigliosamente efficaci il potere narrativo e il valore didattico del cibo.
Qual è la definizione esatta di Comfort Food?
Roberta Schira, food writer, nel suo libro Cucinoterapia (2008, Salani Editore) lo definisce così: “Qualunque pietanza o bevanda a cui una persona ricorre per ottenere sollievo immediato, sicurezza o ricompensa a vario titolo”.
Navigando tra i dizionari disponibili sul web, si leggono definizioni diverse anche se generalmente riconducibili al potere “medicamentoso” del Comfort Food.
The free dictionary by Farlex (link): “Cibo semplice da preparare associato a un senso di familiarità o contentezza.”
Mirriam Webster Learner’s Dictionary (link): “Cibo soddisfacente perché preparato in modo semplice o tradizionale e perché ricorda la casa, la famiglia o gli amici.” Il termine Comfort Food è presente su questo dizionario dal 1972.
Urban dictionary (link): “Cibo che dà conforto emotivo, tendenzialmente il cibo preferito dell’infanzia o legato a una persona, un luogo o un tempo con il quale il cibo ha una correlazione positiva.”
Il Comfort Food porta la mente a passare dalla posizione “verticale”, attiva e razionale, contestualizzata e per questo aggredibile dallo stress, alla posizione “orizzontale”, quella del sogno, del riposo, dell’evasione, dell’autoconservazione, dove la contingenza si espande nell’infinito, dove il presente scolora nel passato.
Sul web, tra blog e forum, ho trovato il post di una persona che fa un’interessante distinzione tra cibi che sceglie per coccolarsi e cibi che predilige per consolarsi: nel primo caso preferisce brioche con gelato o con cioccolato, nel secondo caso predilige una minestrina calda. Questa differenza conferma la versatilità Comfort Food. Si può ricorre a esso sia per indulgere edonisticamente verso se stessi, sia per placare il malumore.
“C’è una ragione per cui il Comfort Food è confortante…sappiamo cosa succederà quando lo assaggeremo e come ci sentiremo quando lo mangeremo. Questo genere di prevedibilità non ha prezzo.” Salma Abdelnour, viaggiatrice del cibo, collabora con importanti testate americane. Il suo blog: salmaland.com
Il Comfort Food, stando ad alcune teorie, è legato al rapporto con la propria madre. A livello conscio la ragione di questo fatto è riferibile ai momenti di felicità identificabili con l’istante in cui si consumava un piatto preparato dalla genitrice, ma scendendo in profondità, il Comfort Food si lega a questa figura chiave poiché è la persona che rappresenta gli aspetti vitali e basilari del cibo e dei bisogni affettivi. Il Comfort Food è tale perché ci riporta al senso più intimo del primo alimento che abbiamo ingerito nel quale, di là dalle implicazioni fisiologiche, era insito un gesto di cura e amore nei nostri confronti. In questo senso è un cibo “positivizzante” con importanti implicazioni di natura psicologica: è una sorta di ritorno al ventre materno e ai giorni felici dell’infanzia, e per questo regressivo e terapeutico.
A questo concetto basilare è anche legato il fatto che il Comfort Food è spesso un cibo semplice e non sovra strutturato. Secondo uno studio condotto dal Dr David Lewis presso la University of Sussex, più il cibo è semplice in termini di sapore, più la risposta cerebrale e conseguentemente emotiva è rapida e potente. La stimolazione gustativa poco complessa, quindi, sarebbe inversamente proporzionale all’efficacia del Comfort Food. Se il sapore di un cibo è basilare, il cervello lo memorizza e lo elabora con più facilità, rendendolo disponibile per future associazioni tra stimolo e pensiero, in altre parole determinando l’esperienza pregressa. Secondo Lewis deriverebbe da ciò il potere “taumaturgico” della cucina casalinga rispetto a quella professionale.
“Per la maggior parte di noi questi cibi sono lontani dal gourmet e generalmente ricordano la cucina casalinga” Peggy Trowbridge Filippone, autrice della sezione Home Cooking del sito about.com
Anche secondo Emma Sloley che scrive sul sito travelandleisure.com, il Comfort Food è tipico della cucina casalinga e dei ristoranti senza pretese che subirebbero le conseguenze di una rivolta se decidessero di eliminare questi cibi dai loro menù.
La gestualità e le deroghe alla consuetudine alimentare sono parte integrante del Comfort Food: si mangia sul divano, davanti alla televisione, a letto, in piedi in cucina durante un fugace quanto appagante rapporto amoroso con il proprio cibo di conforto che è capace di compiere il suo dovere di terapeuta edibile perché “è lui”, perché sappiamo che dentro esso, tra le calorie, le proteine, i carboidrati, i grassi e gli zuccheri, c’è un pezzetto della nostra storia, c’è un collaudato rituale di automedicazione, autoterapia e autoassoluzione da ogni peccato (di gola, ça va sans dire).
Studi e indagini
Un’indagine statunitense ha identificato le principali caratteristiche del Comfort Food che possono essere uniche o convivere all’interno dello stesso alimento: in linea generale, un Comfort Food è nostalgico, indulgente, semplice da preparare (quindi confortante perché non richiede impegno e fatica) e/o migliorativo della salute fisica. Il fatto che una o più di queste peculiarità caratterizzino quello che le persone identificano come cibo confortante è direttamente correlato alle necessità fisiologiche e psicologiche che spingono a consumarlo.
Ecco in sintesi due indagini campione condotte dal Food and Brand Lab della Cornell University di Ithaca – NY, finalizzate a identificare le ragioni che stanno alla base delle preferenze per un cibo confortante piuttosto che un altro, tenute in considerazione le differenze di età e di sesso dei soggetti esaminati: “Abbiamo condotto due studi per esaminare le motivazioni fisiologiche e psicologiche che stanno alla base delle preferenze alimentari. Abbiamo contattato 411 americani scelti a caso, via e-mail, e abbiamo chiesto loro, tra le altre domande, di descrivere il loro Comfort Food preferito e perché sia loro di conforto. Dalle risposte abbiamo concluso che queste persone considerano Comfort Food sia piatti completi, sia snack. A questa indagine abbiamo fatto seguire una ricerca condotta su 1005 americani contattati telefonicamente. Ai partecipanti sono state poste domande riguardanti i tipi di Comfort Food più citati durante il primo studio. Abbiamo costatato che le femmine preferiscono gli snack e i maschi prediligono i piatti veri e propri, ma anche che le donne spesso considerano cibi confortanti anche le insalate e i vegetali, rispetto agli uomini. Le persone giovani tendono a preferire snack saturi di sapore mentre le persone più adulte optano per piatti completi non necessariamente troppo ricchi di gusto. Le femmine a volte si sentono colpevoli dopo aver consumato Comfort Food, gli uomini no. I partecipanti più anziani non attribuiscono agli snack la sensazione di sentirsi meno sani dopo averli consumati, di conseguenza si sentono meno in colpa nel consumarli.”
Le motivazioni fisiologiche alla base delle preferenze in fatto di cibo di conforto possono essere correlate alla necessità di assumere determinate sostanze contenute nei cibi per questioni di tipo alimentare e con lo scopo di bilanciare deficienze nutrizionali, mentre le motivazioni psicologiche si legano al contesto socio-affettivo che riguarda l’individuo e che è in grado di determinare le scelte alimentari dello stesso per tutta la durata della sua vita, con particolare riferimento alle esperienze infantili. Questi fattori di scelta sono anche strettamente correlati all’età e al sesso del soggetto. Elementi tenuti in considerazione nella conduzione degli studi di cui sopra sono anche stati il senso di colpa o il senso di maggior benessere fisico legati ai cibi confortanti prediletti.
Ancora con riferimento alle motivazioni fisiologiche, il cioccolato è un esempio perfetto.
Una volta ingerito, rilascia serotonina, definita l’ormone del buonumore. Pare che il fatto di mangiare cioccolato, inteso come Comfort Food, sia legato non solo alla necessità di assumere la sostanza di cui sopra, ma anche di evitare lo stress fisico e psichico derivante dal privarsene.
Anche Il dott. Andrea Ghiselli (studioso dell’Istituto Nazionale di Ricerca per Gli Alimenti e La Nutrizione) sostiene che alcuni cibi confortanti (in primis il cioccolato) sono considerati tali perché contengono sostanze quali serotonina, dopamina ed endorfine, capaci di predisporre il cervello e quindi lo spirito al buonumore.
Per ciò che concerne gli stimoli di natura psicologica, essi solo legati alla storia alimentare del singolo combinata all’ambiente nel quale esso vive che provoca impulsi emotivi, positivi o negativi che siano.
La combinazione dei fattori fisiologici con i fattori psicologici, rafforza la scelta di un alimento e l’identificazione dello stesso come Comfort Food: è ancora il cioccolato a fungere da esempio calzante. Questo cibo coniuga influenze fisiologiche per le ragioni di natura chimica spiegate prima, implicazioni psicologiche perché spesso è riferito a momenti felici dell’infanzia (per moltissimi bambini era un premio) e qualità sensoriali eccellenti. Sono queste le ragioni che fanno del cioccolato il Comfort Food preferito da moltissime persone.
I legami tra psiche e Comfort Food sono emersi chiaramente anche da un esperimento i cui risultati sono riportati dal Journal of Behavioral and Brain Science. Da settembre a novembre 2012, sessantuno studenti della Saint Bonaventure University di Allegany, New York (ventidue ragazze e trentanove ragazzi attorno ai vent’anni, molti dei quali leggermente in sovrappeso), sono stati divisi in quattro gruppi e invitati a disegnare quattro tipi di cibo con lo scopo di verificare quali effetti potessero avere le stimolazioni visive in luogo di quelle gustative. Ai partecipanti è stato assegnato arbitrariamente uno di quattro soggetti:
- Cupcackes ad alto contenuto di grassi e zuccheri
- Pizza ad alto contenuto di grassi e basso contenuto di zuccheri
- Fragole a basso contenuto di grassi e alto contenuto di zuccheri
- Peperoni a basso contenuto di grassi e zuccheri
Ciascuno studente poteva usare solamente tre colori: rosso, verde e nero.
Utilizzando uno speciale strumento di ricerca, sono stati misurati la fame, l’umore, il livello d’interesse e l’entusiasmo prima e dopo l’esercizio di disegno che è stato eseguito a stomaco vuoto.
L’umore di quanti hanno disegnato la pizza è migliorato del 28%, nel caso dei cupcakes la percentuale era del 27%, mentre fragole e peperoni hanno influito rispettivamente per il 22 e per l’1%.
I ricercatori hanno concluso che avendo utilizzato i medesimi colori, fatto che ha inibito fortemente l’impatto emotivo e psicologico degli stessi, il rappresentare cibi confortanti ad alto contenuto di grassi potrebbe essere parte integrante di una terapia antistress in soggetti con differenti storie alimentari e condizioni fisiche.
Marte VS venere
“I gusti delle persone non si formano per caso.” Brian Wansink, Mindless Eating – Why we eat more than we think, Bantam Dell, 2006
Nel suo libro, Brian Wansink rivela un dato interessante riguardo alla differenza tra le scelte alimentari maschili e femminili in fatto di Comfort Food: da un’intervista condotta su più soggetti, è emerso che gli uomini optano per pizza, stufati e più in generale piatti caldi e complessi, mentre le donne preferiscono gli snack come biscotti e gelati. Le ragioni alla base di queste scelte, nel caso degli uomini, sono legate ai ricordi delle cure che le loro madri riservavano loro attraverso il cibo, mentre le donne hanno affermato di prediligere gli snack perché non richiedono lunghe preparazioni mentre pizza, stufati e simili ricordano loro il lavoro che le genitrici compivano per cucinarli e per rassettare la cucina al termine del pasto. Di fatto le scelte degli uomini e delle donne hanno motivazioni opposte e, come scrive Wansink, rafforzano la teoria secondo la quale i primi vengono da Marte e le seconde da Venere…
E se il Comfort Food non conforta?
In tal caso, è perché siete davanti a una “replica”. Con particolare riferimento al Comfort Food identificato come tale perché correlato a felici ricordi d’infanzia quando la mamma si pendeva cura di noi nutrendoci, l’efficacia consolatoria è legata non al piatto in quanto tale, ma a quella determinata pietanza preparata dalla persona che ha generato i ricordi piacevoli. Nnel libro di cui sopra si parla di un esperimento condotto su alcuni studenti ai quali, in un particolare periodo di stress, è stato servito il polpettone. I soggetti non hanno riconosciuto in esso il potere consolatorio perché visivamente era diverso da quello preparato dalle loro madri.
Anche le persone che hanno risposto alla mia richiesta di identificare il loro Comfort Food preferito hanno parlato di vari alimenti sottolineando “quello che prepara o preparava mia madre”. Non il piatto in generale, quindi, ma quello specifico della mamma.
Quali sono gli aspetti negativi del Comfort Food?
Spesso il Comfort Food, diventa una vera e propria autoterapia caratterizzata dalla compulsiva ripetizione della ricerca del piacere e della sedazione del dolore interiore, dell’ansia e della depressione. Quando il consumo di Comfort Food non è episodico ma è un imprescindibile produttore di benessere, seppur effimero e transitorio, quando subentra una dipendenza patologica, allora il cibo consolatorio può diventare un problema, sia per ragioni legate alla salute fisica (con riferimento ai cibi troppo grassi o troppo dolci), sia in relazione allo stato psichico di una persona. Di conseguenza, il Comfort Food assume connotazioni negative quando diventa mezzo d’isolamento e viene meno a uno dei suoi fondamenti legati alla socialità.
Studiosi statunitensi correlano gli aspetti negativi del Comfort Food, inteso come antistress, con la diffusione dell’obesità, poiché è vissuto come una sorta di antidepressivo facilmente accessibile e a basso costo, ovvero un’automedicazione immediata e gestibile liberamente da diretto interessato, senza intermediari.
Secondo Treena Wynes, consulente AWellness a Saskatoon, Canada: “Il cibo emotivo è un meccanismo per affrontare intense emozioni come lo stress o la depressione e aumenta la probabilità di diventare obesi […] La nostra voglia di mangiare è guidata dai nostri stati d’animo e dalle emozioni.”
Social Comfort Food
Se il Comfort Food è anche sociale, perché non usare un social network per condurre un’indagine riguardante il Comfort Food presso i propri amici? Ho chiesto ai protagonisti del sondaggio di descrivere il loro Comfort Food preferito.
A conferma della soggettività insita nel cibo confortante e della conseguente versatilità dello stesso, dalle risposte che ho ottenuto sono emerse differenti ragioni per le quali un cibo è considerato Comfort Food. È significativo il purè di patate, piatto più volte chiamato in causa. Oltre ad essere il contorno canonico di succulente portate a base carne e quindi tipico dei pranzi domenicali consumati in famiglia o delle ricorrenze particolari, il purè è soffice, delicato, morbido, avvolgente, in esso si trovano burro e latte, materie prime dotate di una notevole carica emotiva ed è, inoltre, un alimento notoriamente servito ai convalescenti. Sembra quindi che il purè di patate sia un concentrato di peculiarità correlate alla felicità, al benessere e alla cura di una persona.
L’affettività del Comfort Food è stata identificata anche in cibi molto calorici o molto dolci (estremizzazione del nutrimento), in portate semplicissime e basilari (la serenità che nasce dall’essenzialità), in alimenti lussuosi (piacere legato a qualcosa di speciale che non fa parte della quotidianità e che rappresenta un modo di indulgere verso se stessi “trattandosi bene”), in piatti legati alle tradizioni locali (senso di appartenenza), in cibi del ricordo legati alle mamme e alle nonne o a luoghi che rappresentano periodi felici e spensierati e, naturalmente, nel cioccolato e nella celeberrima crema a base di cacao e nocciole famosa in tutto il mondo…
“Fragole con panna o **tella… Poi le melanzane alla parmigiana Di mia mamma…. Ricetta esclusiva con bistecche panate tra le melanzane…”
“Patate fritte nel cuore…tutto ciò che ha una certa untuosità mi rincuora e appaga mente, corpo, spirito e anima persino… Niente di meglio di una pingue e lasciva coccola per sollazzare l’umore ed elargire piaceri anche a lei, la mia compagna di viaggio….la famosissima ed integerrima cellula adiposa! Buon lavoro!”
“E’ difficile scegliere, sai? Ormai mi consolo solo con cibo e ..bevande Però se devo pensare a qualcosa di evocativo, ti dico ..le caldarroste! (magari con un bicchiere di vin brulé)”
“La pizza del cavalier Morello al camping Gran Bosco”
“ La polenta e fughi o concia calda calda mentre fuori fa freddo freddo”
“In questo momento….TRIPPA con fagioli e patate!!!”
“La zuppa inglese, ma quella che faccio io…..”
“Pizza e **tella!”
“Quando a fine giornata sono ko il semolino della mamma, non si tratta di alta cucina, ma e’ praticamente un concentrato di coccole!”
“Pizzoccheri e sciatt…ma soprattutto sciatt con insalatina tagliata fine!!!”
“ La bagna cauda”
“La purea di patate con sopra un ovetto…”
“Fonduta con tartufo bianco ,guancia di vitella brasata con pure’ di patate!!”
“Il purè anche per me buono con le cosce di pollo arrosto”
“ Gnocchi fatti a mano dalla nonna conditi con il suo ragu’ unico e irripetibile”
“Gli spaghetti burro e parmigiano…”
“ Tutta la roba dolce, che ormai non compro più altrimenti mangio voracemente… In particolare cioccolato”
“ Gnocchi al gorgonzola”
“ La cervellla”
“Pasta e fagioli..”
“Insalata russa”
“Vitello tonnato..”
“Anche per me vitello tonnato…..”
Comfort Food in mostra
“Chiudere gli occhi e lasciarsi andare, scavando nella memoria, fino a rivivere il flash di un’emozione, portata dall’esile nuance di un gusto, di un aroma dimenticato. Ecco che improvvisamente ci appare una stanza, un volto, un gesto a noi caro…Comfort Food.” Dal sito web della mostra NO SECONDS – Comfort Food e Fotografia.
Sull’Isola di San Servolo a Venezia, presso il Museo della Follia, il 7 settembre è stata inaugurata una mostra dal titolo NO SECONDS – Comfort Food e Fotografia che sarà visibile fino al 24 novembre e che ha come protagonista il fotografo neozelandese Henry Hargreaves. Come si può leggere sul sito web dedicato all’evento: “La mostra si apre con una sezione antologica per proseguire con gli scatti di Band Riders, in cui Hargreaves ha riprodotto ciò che le pop star chiedono in camerino prima di entrare in scena. Gli spazi del Museo della Follia ospiteranno quindi una selezione di foto della serie No Seconds, nelle quali Hargreaves ha riprodotto e immortalato in modo semplice, immediato e intimo l’ultima cena dei detenuti nel braccio della morte nelle prigioni statunitensi.”
Come solo l’arte è in grado di fare, due realtà tanto lontane per essenza di fondo sono messe in relazione attraverso il cibo confortante. L’eccentricità, la leggerezza, l’abbagliante splendore della musica pop e di coloro che la portano sui palchi e la disperazione, il dolore, l’odio, la paura, la morte sono accostati all’interno del medesimo evento: l’arte è il mezzo, il cibo è il fine e viceversa. In questo reciproco scambio di energie il Comfort Food conferma la propria trasversalità, la capacità di riguardare ogni essere umano in un momento parossistico positivo o negativo e di legarsi all’anima di una persona, sia essa leggera come il sogno di un bambino o pesante come una montagna, e di trasportarla, anche solo per un attimo, in una dimensione edonistica dove la natura dell’anima stessa è messa a nudo e vive nella più totale autenticità.
Il cibo-psicofarmaco che placa l’ansia innescata dal cervello che percepisce una minaccia o vive una condizione di depressione, quello che mangiamo perché sotto minaccia abbiamo l’istinto di sopravvivere, innesca, con la serie di foto No Seconds, uno straordinario ossimoro: il cibo, elemento principe della sopravvivenza di un organismo, è l’ultimo legame con la vita diventando somma forma di consolazione in un momento in cui la morte è una certezza.
Alla mostra si affianca un contest di videoclip intitolato L’Ultimo Desiderio che chiama il pubblico a inviare un video dedicato al piatto che i partecipanti chiederebbero se fosse l’ultimo della loro vita (come nel caso dei condannati a morte). Tra i video più votati in rete, tre saranno selezionati da una giuria e gli autori parteciperanno agli eventi previsti: con il supporto di chef professionisti realizzeranno i comfort-piatti-ultimo desiderio sottoponendoli al pubblico mentre saranno proiettati i video relativi, dando così vita a un happening multisensoriale interamente dedicato all’anima e al cibo.
Ringraziamenti
Un sentito ringraziamento al Dr Brian Wansink e a Sandra Cuellar-Healey del Food and Brand Lab della Cornell University di Ithaca – NY per avermi fornito materiale preziosissimo che ha dato a questo articolo un contributo insostituibile (link)
Grazie a tutti gli amici che hanno risposto al sondaggio che ho lanciato attraverso Facebook per aver condiviso con me un pezzetto di loro stessi attraverso il Comfort Food.
Peter: “A cosa hai pensato, Ray?”
Ray: “All’uomo della pubblicità dei Marshmallows.”
Peter: “Ma non è una cosa che vedi tutti i giorni.”
Ray: “Cercavo di pensare a cose innocue, a qualcosa che ho amato nell’infanzia, a qualcosa che non avrebbe mai portato distruzione, al pupazzo degli gnocchi di lichene.”
Peter: “Gran bella pensata, Ray.”
Ray: “Non c’è niente di più soffice e dolce di quei candidi gnocchi di lichene!”
Dal film Ghostbusters di Ivan Reitman, USA 1984