“Forse l’etichetta di avvertimento più ragionevole sarebbe: ‘Mangia con moderazione.’ Brian Wansink, Presidente del Dipartimento di Economia e Management Applicato alla Cornell University e direttore del Cornell Food and Brand Lab.
Che fatica…
Come dice Al Pacino nei panni di John Milton ne L’Avvocato del Diavolo, l’uomo è vessato dai desideri insoddisfatti: “…guarda, ma non toccare! Tocca, ma non gustare! Gusta, ma non inghiottire!”.
Non di diatribe tra l’Onnipotente e l’Angelo Caduto voglio parlare: la citazione di cui sopra è un calzante esempio della frustrazione indotta dal Junk Food, in altre parole il cibo spazzatura, che invade la televisione e la pubblicità mostrando immagini che fanno impallidire la cultura pulp e che sono così esplicite e corrotte da superare ampiamente i limiti del Food Porn*, per poi essere contraddette dalle trasmissioni che predicano il mangiar bene non per una questione culturale e legata a urgenze sanitarie e sociali, bensì per servire lo share e innescare una contraddizione che ci tiene legati al piccolo schermo.
Tra uomini che dimostrano la propria virilità gastronomica ingurgitando chili di cibo trasudante grassi della peggior specie, alimenti saturi di zuccheri che riuscirebbero a cariare una dentiera o così salati da far gonfiare le gambe solo a guardarli, l’esposizione di cibo spazzatura fa della televisione un freak show per guardoni che poi si lavano la coscienza entrando in empatia con persone affette da gravi problemi di obesità e che prestano la propria esperienza di riscatto dai chili di troppo e dalle implicazioni psicologiche del consumo smodato di Junk Food al dio della comunicazione multimediale: lo spettacolo fine a se stesso dai contenuti squisitamente emotivi, nascosti dietro a un fallace intento educativo.
Molti spettatori siedono davanti alla TV con occhi e bocca spalancati, assolutamente passivi. Non gustano, non masticano i prodotti televisivi. Si limitano a farsi ingozzare come oche da Fois Gras da immagini sempre uguali e format che usano il cibo per creare una dipendenza mediatica. Ed è proprio il contraltare delle trasmissioni in cui il Junk Food è protagonista, ovvero i format dedicati alla “rinascita dall’obesità” o alle sane e corrette abitudini alimentari a creare il dualismo, la contraddizione, la frustrazione da insoddisfazione.
Siamo bombardati da rappresentazioni che da una parte ci rifilano l’idea che il cibo spazzatura sia una cosa divertente, di cui sorridere, ricreativa e grottesca, nella quale annegare le preoccupazioni quotidiane e dall’altra ci fanno sentire in colpa. È il modo perfetto per “venderci” due prodotti antitetici facendoli passare per complementari attraverso l’induzione di un desiderio, la colpevolizzazione dello stesso e la necessità di espiazione.
In questo panorama da girone infernale dove immagino i dannati sferzati a colpi di enormi patatine fritte in olio esausto, in questa tempesta di messaggi contraddittori e disorientanti, mi chiedo dove sia finito il valore del cibo, sia dal punto di vista nutrizionale, sia nelle sue implicazioni storiche, sociali e culturali.
Il cibo spazzatura in televisione è una delle peggiori forme di anti-cultura e strumentalizzazione degli alimenti. I primi a farne le spese sono gli Americani che continuano a essere considerati la pattumiera del mondo in fatto di cibo (l’hamburger è simbolo supremo del Junk Food perché secondo l’idea più diffusa “è americano e gli americani mangiano solo schifezze…”). In un momento storico in cui associazioni ed enti tentano di fare qualcosa per combattere il problema dell’obesità, di esaltare la produzione di cibo sano e locale e di migliorare la qualità degli alimenti serviti nelle mense scolastiche, innescando una rivoluzione d’importanza storica e sociale, lo spettacolo e l’economia del food veloce e a basso costo continuano a fagocitare i buoni propositi.
È vero, è principalmente il popolo a stelle e strisce a esportare i format televisivi di cui sopra e i fast food, ma siamo noi a farne un uso passivo che ci sta diseducando gravemente. Il telecomando è sempre lì a portata di mano quando un programma offende il comune e individuale senso del pudore: basta cambiare canale. Inoltre le possibilità di mangiare cibi sani, a casa e fuori, non mancano: è importante liberarsi dalla morsa del marketing del Junk Food e imparare a riconoscere e scegliere cibo buono e con un po’ di sana cultura legata all’economia domestica, si può anche evitare di spendere troppo. Il basso costo del cibo spazzatura, infatti, è un’altra caratteristica che lo distingue e lo rende attraente.
La stimolazione serrata ai limiti dello stalking della TV e della pubblicità e l’accessibilità troppo agevolata al Junk Food, specie da parte delle fasce più manipolabili della comunità quali bambini e adolescenti, rende preoccupanti il consumo di cibo spazzatura e le conseguenze a esso legate.
Alla domanda “Perché i cibi spazzatura piacciono tanto”, il Dott. Riccardo Borgacci, dietista e personal trainer risponde:
“…perché sono buoni, perché sono stati concepiti per esaltarne la palatabilità, perché sono comodi, ma soprattutto… PERCHE’ SONO ECONOMICI. Il junk food è estremamente a buon mercato: i grassi idrogenati, il saccarosio ma anche i dolcificanti, le patate, la carne macinata mista e grassa, sono materie prime che costano pochissimo. Perché uno studente dovrebbe (e come potrebbe?) spendere 15 euro al giorno per una piccola porzione di spaghetti al pomodoro, una fesa di pollo con insalata ed acqua naturale, quando con 7-8 euro può mangiare a strafogo hamburger, patatine, bibite ed un gelato? In definitiva, il cibo spazzatura costa la metà, fa ingrassare il doppio e nutre 1/10 rispetto al pasto mediterraneo.”
COSA È ESATTAMENTE IL JUNK FOOD?
Riguarda tutti gli alimenti insani perché di scarso valore nutrizionale, troppo ricchi di sale, grassi e zuccheri, finalizzati all’esclusiva quanto effimera soddisfazione dei sensi, spesso attinenti a obesità, malattie cardiovascolari, diabete, disturbi alimentari di natura psicologica e depressione. A differenza dei cibi “pornografici”* che hanno attinenze con la seduzione e la sensualità insite nel cibo, il Junk Food è fine a se stesso. È l’annichilimento della sana indulgenza, della coscienziosa ricerca del piacere attraverso il cibo, del gioco mentale che sta alla base di questi concetti.
Olio prodotto da un non meglio specificato elemento che trasuda e cola, carni che potrebbero tranquillamente provenire da Vega qualora sulla stella ci fosse vita esibite come le Sirene omeriche esibivano le proprie arti canore ai malcapitati marinai di passaggio, sono sexy o sono piuttosto un’offesa all’intelligenza e al pudore in fatto di cucina? Il cibo spazzatura in TV non è forse un atto osceno in luogo privato?
Junk Food è il troppo, l’assurdo, l’estremo, l’inutile. È autolesionismo, loop, autoreferenza, anticultura perché la globalizzazione del cibo annichilisce le specialità territoriali.
In fatto di cibo spazzatura è evidente che i fast food sono nell’occhio del ciclone. In questo senso è emblematico un film documentario del 2004 diretto e interpretato da Morgan Spurlock e intitolato Super Size Me, che prende il nome da un menu disponibile presso i ristoranti nei quali è stato condotto l’esperimento (vai al video). Nel documentario Spurlock si è impegnato per un mese a consumare tre pasti acquistandoli presso la più famosa catena di fast food del mondo. L’esperimento gli è costato undici chili di peso in più, repentini sbalzi d’umore, disfunzioni sessuali e stanchezza cronica. Nominato agli Oscar come miglior documentario e vincitore del Sundance Festival, Super Size Me ha riscosso grande successo di critica e di pubblico e sembra aver indotto il ritiro dal mercato del menu incriminato, fatto che però non è stato confermato.
Francesco Costa, su ilsole24ore.com, il 13 aprile 2012 ha scritto un testo intitolato Manifesto ideologico del cibo spazzatura nel quale esprime (in maniera provocatoria, NdA) la propria visione dell’approccio culturale e critico al Junk Food, sostenendo che la guerra ai fast food sia inutile e controproducente e la causa del consumo sconsiderato di questo tipo di cibo sia da attribuire alle scelte dei consumatori piuttosto che all’offerta: “L’adorazione per il cibo zozzo è internazionale, cosmopolita, progressista, in opposizione al localismo tradizionalista nostalgico e reazionario di molta gastronomia contemporanea […] Questa è anche la ragione per cui le campagne terroristiche contro i fast food sono uno spreco di tempo e di soldi, efficaci quanto le macabre scrittone sui pacchetti di sigarette, cioè niente scelgono il bersaglio sbagliato con l’approccio sbagliato, e per giunta lo mancano. Alla visione del documentario Super Size Me, quello che mostra ingannevolmente i risultati di una dieta basata sul solo Mc*** allo scopo di terrorizzare gli spettatori, ogni vero appassionato di junk food ha avuto lo stesso stimolo incontrollabile, la stessa identica reazione: uscire di casa e andare di corsa a mangiare un *** Menu. Grande.”
GUARDAMI E MANGIAMI
I media sono legati al cibo spazzatura anche per ciò che concerne la pubblicità orientata soprattutto ai bambini, tanto che in alcuni paesi sono state emanate leggi al riguardo, finalizzate a tutelare i minori: l’Australia ha vietato la pubblicità di alimenti destinati ai minori di quattordici anni, l’Olanda ha abbassato l’età a dodici anni, la Svezia ha proibito lo sfruttamento di personaggi dei cartoni animati nelle pubblicità e la Norvegia ha escluso qualsiasi forma di marketing riservato ai più piccoli. A tal proposito va anche rilevato che secondo un’indagine dell’Università di Yale risalente al 2012, i canali utilizzati dalle industrie e dalle catene di ristorazione accusate di produrre cibo spazzatura si stanno spostando sempre più verso il web (in particolare i social network, tanto che secondo un’ANSA del 6 novembre 2013 nell’anno su Facebook sarebbero apparsi sei miliardi di banner pubblicitari) e sugli smartphone. Colori vivaci e allegri, forme rassicuranti e invitanti, immagini di cure materne e calore domestico, personaggi dei cartoni animati o mascotte simpatiche finalizzate a creare empatia sono i protagonisti degli spot dedicati che inducono al consumo.
A livello internazionale si stanno cercando soluzioni per limitare il consumo di Junk Food. Tra queste le proposte la tassazione dei cibi spazzatura o delle materie prime generalmente contenute in essi. In un’ANSA del 20 gennaio scorso si legge: “Per cercare di ridurre il consumo di cibi ‘spazzatura’ è meglio tassare i singoli ingredienti, come lo zucchero o il sale, piuttosto che le tipologie di alimento. Lo afferma uno studio della Cornell University pubblicato dal National Bureau of Economic Research statunitense. I ricercatori hanno analizzato i dati di oltre 123 milioni di decisioni di acquisto da parte di utenti osservate tra il 2002 e il 2007, cercando di verificare quale delle due tassazioni influisce di più sui consumi. Dallo studio è emerso che una tassa su un determinato alimento determina più che altro uno ‘spostamento’ verso altri cibi spazzatura non tassati, o addirittura l’invenzione di nuove tipologie che sfuggano all’imposta. Al contrario se si tassano gli ingredienti fondamentali, come lo zucchero, il sale o il burro, si scoraggiano i consumi. Una tassa del 20% sullo zucchero, ad esempio, potrebbe in teoria diminuire il consumo di calorie del 18%. -Tasse su specifici ingredienti – concludono gli autori – possono essere molto efficaci nell’indurre abitudini più salutari nei consumatori”.
Personalmente credo molto nel potere dell’educazione del consumatore che dovrebbe essere finalizzata non tanto a insegnare semplicemente ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma a riconoscere la differenza tra giusto e sbagliato e il perché alcuni cibi possono avere conseguenze antagoniste di un sano stile di vita. Demonizzare il cibo spazzatura senza aiutare a comprendere che il problema non è esso in quanto tale, ma all’origine è la diseducazione indotta da industrie, media, packaging, pubblicità e ciò che questa, attraverso il cibo, comporta in termini di dipendenza e danni alla salute, permette di evitare di criminalizzare laddove non sia necessario farlo e di scongiurare il pericolo di trasformarci in esseri acritici che assorbono qualsiasi concetto ci sia propinato in fatto di cibo, nel bene e nel male.
La vita umana è fatta di corpo e mente che si accomunano nei sensi. Io credo che, di là da patologie gravi che limitano la possibilità di mangiare ciò che si vuole e si desidera, dovremmo sentirci liberi (e responsabili) di farci concessioni di tanto in tanto (se ne sentiamo il bisogno), facendolo però con coscienza e logica, in altre parole imparando il valore della qualità delle materie prime ed evitando di estremizzare un atteggiamento o l’altro per non cadere nella trappola della frustrazione ed essere prede facili del marketing di prodotti televisivi e/o alimentari che da una parte ci fanno stare male e dall’altra promettono di farci stare meglio.
La libertà dell’individuo, anche in campo alimentare, dovrebbe essere il fine primario di ogni società responsabile e il perno attorno al quale far ruotare l’organizzazione della società stessa e della relativa economia finalizzata a un’equa distribuzione del cibo, sia in termini di quantità, sia in termini di qualità. Non esiste però libero arbitrio senza fondata conoscenza delle scelte che abbiamo a disposizione e delle conseguenze delle stesse. Sino a quando saremo perduti nel mare delle contraddizioni, aggrappati a una zattera costantemente ribaltata dalle onde dell’informazione, della controinformazione e della disinformazione, non approderemo a nessuna spiaggia, dove l’equilibrio e l’autocoscienza la faranno da padrone. Non credo negli estremismi, nelle forzature e nelle privazioni, ma nell’importanza di avere un’idea personale e nella responsabilità delle proprie azioni che può nascere solo da una cultura libera e sana. Così come i protagonisti del film La Grande Abbuffata di Marco Ferreri (1973) cercano di uccidersi attraverso l’ingestione di enormi quantità di cibo che, pur essendo raffinato e di qualità, estremizzato e strumentalizzato diventa Junk Food, nel cibo spazzatura consumato ciecamente e come adepti di TV e pubblicità noi ci suicidiamo mentalmente, culturalmente e socialmente.
Sull’importanza dell’educazione alimentare, ancora il Dott. Riccardo Borgacci sostiene: “Genitori di tutta Italia, nutrire rappresenta l’atto d’amore per eccellenza, e per capirlo basta pensare all’importanza fisica e psicologica dell’allattamento materno. Non lasciate pochi euro ai vostri figli per far si che si avvelenino, piuttosto, investite pochi minuti e nutriteli; cucinate per loro! Allo stesso tempo, i presidi degli istituti superiori dovrebbero: interrompere definitivamente l’approvvigionamento (come alcuni stanno già facendo) e la distribuzione degli snack e delle bibite gassate; dovrebbe essere già chiaro a tutti gli istitutori che la cultura non è costituita solo dalle materie del piano scolastico, ma anche (e soprattutto) dall’educazione alimentare e da quella motoria”.
DALLE STALLE ALLE STELLE
Il Cibo Spazzatura piace. Grassi, zuccheri e sale lo rendono gustoso e stimolante per il palato, ma deve essere per forza insano? Può diventare buono dotandosi di caratteristiche che lo rendano tale?
Un hamburger di carne sana e di origine certa e sicura, condito con salse fatte in casa e rinchiuso in un panino buono, magari con lievito madre, consumato nell’ottica di una dieta variata ed equilibrata che ogni tanto si concede un attimo di tregua a favore dello spirito, ha certamente un impatto sul nostro organismo e sulla nostra cultura alimentare migliore di quanto possa fare un panino assemblato con elementi di scarsa qualità.
In un video-articolo comparso sul sito de La Stampa il 13 gennaio scorso è messa in evidenza la differenza di cui sopra. Grazie alle materie prime, i grandi chef sdoganano il Junk Food facendolo entrare di diritto nell’Olimpo della ristorazione gourmet. Nascono così hamburger, Kebab e fish and chips d’autore.
“Per me c’è cucina junk food e cucina vera. Io quando servo il mio hamburger ne sono fiero, così come un club sandwich o un toast. Perché contiene prodotti nobili. Ecco, esiste un junk food gourmet”. Brice Morvent, chef.
Lo chef Sergio Maria Teutonico ha creato una pagina Facebook nella quale invita le persone comuni a pubblicare immagini di ricette dedicate alla redenzione del junk Food, ovvero hamburger, fish and chips, kebab e similari. È lo stesso chef ad affermare, in un articolo comparso sul sito cibovino.com: “Parlo di tutta quella immondizia che ci propinano in televisione e che poi le stesse reti televisive deprecano con i ciccioni a dieta che svengono e piangono senza alcuna dignità di fronte al morboso pubblico televisivo che si dissocia o si immedesima in quelle povere anime[…]. La mia provocazione è la seguente: collegatevi a questo post sulla mia pagina di facebook e postate la vostra immagine del junk food revisionato, rivisto, corretto…. reso buono dal sapere della nostra tradizione e dal piacere per il buon cibo che solo noi in Italia possiamo raccontare e trasmettere agli artefici d’oltre oceano che invece creano spesso e volentieri orrori da gustare.”
JUNK MOOD
Ho chiesto ad alcuni amici di spiegare quale sia il loro concetto di Junk Food. Molti hanno orientato le proprie scelte sul cibo da fast food, altri sugli alimenti industriali. Alcuni hanno deprecato severamente i cibi che considerano spazzatura, altri hanno confessato che pur essendo consapevoli della scarsa qualità e delle implicazioni nutrizionali, trovano buoni i cibi incriminati. Ecco un estratto delle risposte che hanno dato al sondaggio che ho lanciato su Facebook.
“Per me hamburger e patatine fritte che però apprezzo molto”
“Mc*** tutto il menù.
“*** king..e cinese…almeno trovo che la cucina cinese da noi sia da considerarsi cibo spazzatura”
“kebab…”
“tutto quello che cucino io”
“Il cibo industriale. Tranne la ***iesta.
“Tutte le merendine!!!!”
“La carne , la farina 00 , lo zucchero bianco, fastfood”
“Anch’io penso che tutto quel prodotto, in modo industriale sia il peggiore in assoluto. Conservanti e coloranti di vario genere non fanno sicuramente bene. Poi lo zucchero è un altro bel dramma (per chi ha letto un saggio sullo zucchero lavorato sa di che parlo)…”
“Senz’altro i cibi da fast food e quelli preconfezionati,merendine varie, bibite gassate”
“Zucchero filato!!! caramelle in genere….bleah..”
Ancora una volta ringrazio gli amici che hanno dato un contributo prezioso a questo articolo.
* Cibo pornografico, quello che secondo Anthony Bourdain che lo definisce misterioso, domestico ed esotico, ha un tale potere eccitante da indurre coattivamente la necessità di mangiarlo e che secondo Rosalind Coward ha caratteristiche estetiche così efficaci dal punto di vista della comunicazione e dello stimolo visivo da ridurre lo spettatore in una sorta di “schiavitù”. Il food porn è anche una sorta di comfort food i cui effetti benefici non sono orientati al benessere dello spirito, ma all’appagamento dei sensi fine a se stesso. Seducente, bello da vedere, ammiccante, protagonista di immagini patinate e allusive che nascono da inquadrature sapientemente pianificate, luci soffuse, colori brillanti e caldi, superfici lucide, nulla ha a che fare con la pornografia in quanto tale, ma con essa condivide la capacità di innescare il bisogno di soddisfare un desiderio squisitamente fisico e puramente istintivo, in perfetto stile voyeuristico.
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